sale e saline
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Attualità

Saline, Comolli: «Il passaggio ai francesi è esempio di poco interesse nazionale»

Il ricercatore sul sale parla di «incapacità a riconoscere il valore strategico nazionale di questa produzione»

Dopo l'abbandono dell'industria dello zucchero, avviato negli anni '80 con la scomparsa di 330.000 ettari di campi di barbabietole da zucchero (oggi 30.000), col passaggio in mani straniere della Salina Margherita di Savoia, la più grande lungo la Penisola, l'Italia perde anche il sale, che è un prodotto strategico, quindi da tutelare, da controllare, da certificare in quanto indispensabile nell'industria alimentare e cosmesi e in quanto strumento di salatura di eccellenze del made in Italy come i prosciutti.

È il grido d'allarme di Giampietro Comolli, esperto di food&wine economy e ricercatore sul sale, dopo l'acquisizione da parte di Salins du Midi delle saline di Margherita di Savoia, in Puglia, le più grandi d'Europa, con 500 ettari di vasche. Il gruppo francese, precisa Comolli, è un colosso sul mercato europeo, già proprietario del sale della Camargue e di altre saline marittime francesi, oltre che del 100% di Cis-Compagnia Italiana Sali, operante a Porto Viro (Rovigo) con capannoni e area di stoccaggio per 60.000 mq che ricevono via mare «sali» dalle miniere francesi, dalle saline dell'Atlantico alle 4 sedi in Spagna alle 3 in Tunisia. Lavora da 4 a 6 milioni di tonnellate all'anno, pari a quasi 3 volte la totale produzione italiana.

«Il passaggio di mano ai francesi è un altro esempio di poco interesse nazionale - conclude Comolli -, per l'incapacità di riconoscere il valore strategico nazionale di una commodity soprattutto legata al made in Italy e al turismo enogastronomico. Passa di mano, nel silenzio, la salina pugliese, che da sola può produrre ottimo sale integrale e
iodato per circa 1 milione di tonnellate all'anno, con il 97-98% di purezza di cloruro sodico, col rischio di lasciare a casa 20-30 lavoratori».

Il sale italiano, stima l'esperto di food economy, vale 125-135 milioni di euro l'anno all'origine, che diventano circa 200 milioni come fatturato finale al consumo. «Margini
reddituali stretti, prodotto senza valore aggiunto e prodotto commodity sono i punti deboli. Un altro problema è l'esportazione di sale in Italia, che vale 70 milioni di euro,
pari al 30%, di cui parte finisce anche, senza chiara origine e tracciabilità, sulle tavole degli italiani. Questo nasconde e annacqua ancor più la origine nazionale. Credo che un po' di chiarezza per il consumatore finale sia obbligatoria, urgente», chiede Comolli.
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